L’arcivescovo di Ottawa ha ordinato che tutti i cattolici si conformino nel modo di inginocchiarsi durante la Messa, nonostante diffuse lamentele che uniformità non significa santità, e nemmeno unità. L’Arcivescovo Prendergast ha chiesto, con una lettera circolare, che ognuno si inginocchi durante la preghiera eucaristica, dal Santo fino a "Mistero della Fede": cinque minuti in tutto [shocking!]
Al momento, alcuni stanno in piedi per quasi tutta la preghiera, inginocchiandosi solo quando il prete prepara la comunione [sic!]. Altri stanno in piedi sempre, altri sempre inginocchiati. L’Arcivescovo scrive: "ho notato un ampio ventaglio di pratiche... che rappresentano un’assenza di armonia in una materia in cui dovremmo essere uniti: l’adorazione di Dio. So che può non essere facile per alcuni da accettare. Comunque, sono convinto che l’applicazione di questa regola porterà benedizioni alla nostra arcidiocesi e vi invito a cooperare".
In un'intervista successiva, ha spiegato: "E’ un segno di riverenza. La gente dice: ‘non mi piace, siamo un popolo libero, non dobbiamo più inginocchiarci a Dio’ e io rispondo ‘Aspettate, noi dobbiamo inchinarci a Dio. Cristo si inginocchiò nel giardino. La gente si inginocchiava davanti a Gesù. Perché non possiamo farlo noi per pochi minuti a Messa?’"[...]
Sembra una piccola cosa chiedere ai fedeli di inginocchiarsi a Messa, ma gli oppositori dicono che quello è il punto, specialmente perché questo è il primo ordine fermo dell’arcivescovo dacché si è insediato l’anno scorso.
"E’ tutto quello che sanno pensare?" si è chiesto l’ex consigliere di Ottawa Toddy Kehoe, un parrocchiano di St. Joseph’s: "Non mi pare che la chiesa cattolica si occupi di cose amorevoli. Non li vedo come la comunità che si cura degli altri come dovrebbe essere. Non importa se uno sta in piedi o in ginocchio".
Il rev. Richard Kelly di St. Joseph’s ha rifiutato di commentare, così come il membro dello staff parrocchiale che pur aveva scritto in una mail: "E’ difficile credere che un inginocchiatoio sia un argomento di quella importanza, e vorrei poter dire qualcosa di significativo per quel pezzo di mobilio, e per la postura di preghiera che ci si chiede di assumere, ma viviamo in tempi difficili e il focus per noi come parrocchia è davvero come possiamo partecipare nella verità e nel processo di riconciliazione con la comunità aborigena del Canada" [un culmine di involontario umorismo. ‘Benaltrismo’ ai suoi massimi livelli: si proponga qualsiasi cosa di buono, gli oppositori, non potendo dire che l’innovazione è cattiva, diranno sempre che ‘ben altri sono i problemi da affrontare’. Ma quello della riconciliazione con gli aborigeni... wow! E soprattutto, che cosa c’entri con l’inginocchiarsi...]
Perfino il rev. William Burke, direttore associato dell’ufficio liturgico nazionale alla conferenza episcopale canadese, si è rifiutato di commentare per paura di alimentare la controversia. I vescovi canadesi hanno già concordato di adottare questa regola quando il nuovo messale sarà introdotto nel prossimo futuro.
L’arcivescovo Prendergast riconosce le tensioni sottostanti: "Ogni volta che parli di liturgia, si ripercuote su qualsiasi altra cosa che avviene nella Chiesa. Proprio ora, la Chiesa cattolica si domanda: ‘La Messa, è una cosa nostra, oppure di Dio? C’è una certa tensione nella Chiesa su questo. Dopo 40 anni dal Concilio Vaticano, ci siamo allontanati da certi aspetti di riverenza; stiamo cercando di avere più armonia e coordinazione. L’armonia aiuterà a sostenere un senso del culto divino, qualcosa che è sfuggito via. Quel che è accaduto alla liturgia è che le si è chiesto di contenere troppe cose. Ad una Messa, la gente divenne così entusiasta nel salutarsi allo scambio della pace, che ci sono voluti 45 minuti per ritornare ai banchi e riprendere la funzione. Questo non c’entra con la Messa. Che riguarda invece l’adorazione di Dio. Una volta, nessuno mai applaudiva. Ora, applaudono per qualsiasi cosa. Diventa più come un concerto".Circa il suo messaggio autoritario, Mons Prendergast ha detto: "Il vescovo è il mentore della liturgia, il moderatore, quello che dirige il gioco. Cerco di farlo con gentilezza".
Nondimeno, sia al clero sia ai fedeli dice: "So che non siete d’accordo, ma vorrei che mi seguiste. Se qualcuno viene in chiesa e ostinatamente resta in piedi, non verrà richiesto di andarsene. Certo ti domandi: che cosa provano quando ci sono 2 persone in piedi in una chiesa e 500 in ginocchio? Certe persone devono sempre farti sapere che hanno ragione loro".
per il rinnovamento liturgico della Chiesa, nel solco della Tradizione - a.D. 2008 . - “Multa renascentur quae iam cecidere”
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sabato 28 febbraio 2009
In Canada: inginocchiatevi alla consacrazione!
Messa straordinaria in diocesi di Salerno
Sabato, 14 marzo ore 18 il gruppo di "Militia Christi circolo compagnia di san Michele" ha organizzato dopo quarant’ anni di assenza sul territorio, la Santa Messa in antico rito che si terrà nella Chiesa di sant’Andrea apostolo a Villa, frazione di Fisciano.
Noi come gruppo di giovani facenti parte del gruppo di "militia Christi" siamo rimasti affascinati da questa Messa in antico rito dove abbiamo attinto abbondanti frutti spirituale giacché infatti favorisce il raccoglimento e l’orazione quale elevazione della mente a Dio e si percepisce in qualche modo la bellezza e la sacralità di Dio grazie all’organo e ai canti in gregoriano, grazie al massimo rispetto verso il Santissimo Sacrificio e il Santissimo Sacramento dell’altare; ciò si manifesta nelle frequenti genuflessioni e nella massima cura dei frammenti eucaristici. Questo è importante soprattutto oggi che la gente si allontana dalla S. Messa quando essa è banalizzata, quando perde solennità e decoro e finisce purtroppo per essere ridotta spesso solo ad un concertino. Il cuore dell’uomo ha sete del soprannaturale e se non lo trova si rivolge altrove !
La Messa in antico Rito ancor più oggi va valutata perché il Papa con il Motu Proprio "Summorum pontificum", ha liberalizzato ancor più questa Messa non nel senso di sostituire quella moderna tutta in italiano, ma nel senso di supplire alla necessità spirituale di tutti quei fedeli che ne fanno richiesta. In ogni caso la S. Messa di San Pio V è una libera scelta di chi la chiede o desidera parteciparvi. Dunque noi fedeli abbiamo la possibilità di partecipare a due tipi di Messe anche perché come dice questo documento sopra indicato, emanato dalla Santa Sede, il Sacerdote (e lo vogliamo sottolineare bene ) per celebrarla, non ha bisogno di alcun permesso, né della sede apostolica, né del suo ordinario (cioè vescovo). Eppure la cosa sembra non riguardare la nostra diocesi a causa dei diversi veti imposti da monsignor Gerardo Pierro a sacerdoti e a gruppi di fedeli che lecitamente ne hanno fatto richiesta. Insomma sembra proprio che questa Messa "non s’hadda fare". La celebrazione della S. Messa di San Pio V, come la celebrazione degli altri Sacramenti secondo il rito romano antico, dopo la pubblicazione del Motu proprio del Papa è un diritto acquisito in tutta la Chiesa e per tutta la Chiesa e nessuno, a nessun titolo, può negare o conculcare questo diritto.
La Fraternità S. Pio X non sarebbe pronta a riconoscere tout court il Concilio Vaticano II
Polemica – Il Vaticano esige il riconoscimento del Concilio per reintegrare i lefebvriani. E’ “mettere il carro davanti ai buoi”, denuncia Mons. Fellay
La revoca della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità sacerdotale S. Pio X (FSSPX) non significa “integrazione” nella Chiesa, ma è una porta aperta per il dialogo, aveva precisato la Segreteria di Stato, il 4 febbraio, in reazione alla polemica nata dalle affermazioni negazionisti che di uno dei prelati riabilitati, Mons. R. Williamson (che è appena rientrato in Gran Bretagna). Ora, Roma pone come condizione di questa infrazione il “pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II”, come quello “del magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Gian Paolo I, Gian Paolo II e di Benedetto XVI stesso”.
Intervista con il superiore della FSSPX, mons. B. Fellay, successore del vescovo Lefebvre.
No. Il Vaticano ha riconosciuto la necessità di intrattenere preliminari con lo scopo di trattare delle questioni di fondo provenienti giustamente dal Concilio Vaticano II. Fare del riconoscimento del Concilio una condisione preliminare è come mettere il carro davanti ai buoi.
Voi avete dichiarato, durante i rapporti con le autorità romane in vista di una reintegrazione, di volere pervenire ad una restaurazione solida della Chiesa. La Vostra speranza è dunque che la Chiesa ritorni sui suoi passi rispetto ai traguardi del Vaticano II?
Sì. Perché questi traguardi sono delle clamorose perdite: i frutti del Concilio sono stati di vuotare i seminari, i noviziati e le chiese. Migliaia di preti hanno abbandonati il loro sacerdozio e milioni di fedeli hanno cessato di praticare o si sono rivolti a sette. Il credo dei fedeli è stato snaturato. Veramente sono degli strani traguardi.
A questo propostio la Fraternità è sempre ostile alla libertà di coscienza in materia di reglione, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso?
E’ indubbio che l’adesione ad una religione necessiti un atto libero. Dunque, molto sovente quando si dice che la Fraternità è contro la libertà di coscienza in materia di religione, si attribuisce alla Fraternità una teoria che essa non ha. La coscienza è l’ultimo giudizio sulla bontà delle nostre azioni. E in questo senso nessuno può agire contro la propria coscienza senza peccare. Resta che la coscienza non è un assoluto: essa dipende dal bene e dal vero oggettivi e che tutti gli uomini hanno, quindi, il dovere di formare e di educare correttamente la propria coscienza. Così come la Chiesa è responsabile e deve illuminare e guidare le nostre intelligenze limitate e spesso ottenebrate. Per quel che concerne l’ecumenismo o il dialogo interreligioso, tutto dipende da cosa si intende con questi nomi. Regna una grande confusione nello spirito di questi vocaboli. Molto evidentemente, come tutti gli uomini e per il bene della società noi ci auguriamo di vivere in pace con tutti gli uomini, tutti insieme. Sotto il profilo religioso noi ci auguriamo di rispondere ardentemente al desiderio di Nostro Signore: “Che tutti siano uno”, affinché ci sia “un solo gregge e un solo pastore”. Se per ecumenismo si intende il perseguimento di questo scoto nobilissimo, noi siamo evidentemente d’accordo. Se, al contrario, si intende un cammino che non cerchi questa unità fondamentale, unità che passi obbligatoriamente per un riconoscimento della Verità – di cui la Chiesa Cattolica si dice tutt’oggi la sola detentrice nella sua integralità – allora noi protestiamo. Di fatto, si vede che attualmente l’ecumenismo resta ad un livello molto superficiale d’intenti e di vita nella società, senza però andare al fondo delle cose.
Di quale statuto in seno alla Chiesa la Fraternità potrebbe beneficare?
Si vedrà se le discussioni dottrinali sfoceranno in qualche cosa di positivo. A Dio piacendo.
Alla Santa Sede non bastano le recenti scuse di Mons. Williamson
© Copyright Radio Vaticana
Pubblicato da Raffaella a 17.10
Il Cardinale, Lord di Sua Maestà Britannica
Tensioni recenti
Il segnale che il livello di guardia è ormai raggiunto è arrivato da Londra. Il cardinale Cormac Murphy-O'Connor, capo della Chiesa cattolica inglese, ha vietato all'arcivescovo di curia, Raymond Burke, prefetto della Segnatura apostolica, di celebrare nella cattedrale di Westminster una messa in latino secondo le nuove regole del Motu Proprio del 2007 sul messale tridentino. Burke, americano, non è un vescovo tra i tanti: è un falco, uno dell'ala dura dei custodi della tradizione voluto direttamente da Benedetto XVI di cui è giurista di fiducia. Si sta lentamente abbassando il polverone sul caso dei lefebvriani e del vescovo negazionista Richard Williamson, […] e si può vedere con più chiarezza il duro confronto in atto tra le varie anime della Chiesa, immediatamente sotto il Soglio di Pietro. Conservatori e progressisti sono categorie che solo in piccola parte riescono a definire quello che spesso sfocia in scontro, visti i registri usati di là dal Tevere e nelle curie vescovili dell'Italia e del resto del mondo.
Prima di tutte quella su Israele: il viaggio del Papa ha ancora delle incognite, rappresentate dalla visita al mausoleo di Yad Vashem (dove c'è la didascalia con le accuse a Pio XII) […]
venerdì 27 febbraio 2009
Mons. Burke, P. Manelli e il card. Canizares, in forma straordinaria. PRECISAZIONE
Per diversi ordini di motivi,
La causa del crollo delle vocazioni femminili
C'è un rapporto aggiornato e minuzioso sulle religiose del Québec, la provincia-stato del Canada che parla francese. Un caso esemplare, quello québécois: si tratta infatti della sola zona del Nord America che sin dagli inizi sia stata colonizzata ed evangelizzata da cattolici, che vi avevano costituito un regime di chrétienté gestito da una Chiesa onnipresente. In effetti, ancora vent'anni fa, all'inizio degli anni Sessanta, il Québec era la regione del mondo con il più alto numero di religiose rispetto agli abitanti, che sono in tutto sei milioni. Tra il 1961 e il 1981, per uscite, morti, arresto del reclutamento, le religiose si sono ridotte da 43.933 a 26.294. Una caduta, dunque, del 44 per cento e che sembra inarrestabile. Le nuove vocazioni, infatti, si sono ridotte nello stesso periodo di ben il 98,5 per cento [in appena vent'anni!]. Risulta poi che buona parte di quell'1,5 superstite è costituito non da giovani, ma da "vocazioni tardive". Tanto che, con una semplice proiezione, tutti i sociologi concordano in una conclusione cruda ma oggettiva: "Tra poco (a meno di rovesciamenti di tendenza del tutto improbabili almeno a viste umane) la vita religiosa femminile così come l'abbiamo conosciuta non sarà in Canada che un ricordo". Sono gli stessi sociologi che hanno preparato il rapporto che ricordano come in questi vent'anni tutte le comunità abbiano proceduto a ogni sorta di riforma immaginabile: abbandono dell'abito religioso, stipendio individuale, lauree nelle università laiche, inserimento nelle professioni secolari, assistenza massiccia di ogni tipo di "specialisti". Eppure le suore hanno continuato a uscire, le nuove non sono arrivate, quelle rimaste - età media attorno ai sessant'anni - spesso non sembrano aver risolto i problemi di identità e in qualche caso dichiarano di attendere rassegnate l'estinzione delle loro congregazioni.
giovedì 26 febbraio 2009
Le scuse di mons. Williamson.
Alla televisione svedese ho dato solo l'opinione (..."io credo"..."io credo"...) di uno che non è storico, un'opinione formata 20 anni fa sulla base di prove allora disponibili e raramente espresse in pubblico in seguito. Comunque, gli eventi delle recenti settimane e il consiglio di membri influenti della Fraternità S. Pio X mi hanno persuaso della mia responsabilità per la molta sofferenza cagionata. A tutte le anime che si sono onestamente scandalizzate per quanto ho detto chiedo scusa davanti a Dio
Come ha detto il S. Padre, ogni atto di violenza ingiusta contro un uomo colpisce tutta l'umanità.
+Richard Williamson
Londra 26 febbraio 2009.
Intervista a mons. Guido Marini: il motu proprio esprime l'unica interpretazione corretta del Concilio.
A cura di Maddalena della Somaglia
- Il Santo Padre sembra avere nella liturgia uno dei temi di fondo del suo pontificato. Lei, che lo segue così da vicino, ci può confermare questa impressione?
Direi di sì. D’altra parte è degno di nota che il primo volume dell’ “opera omnia” del Santo Padre, di ormai prossima pubblicazione anche in Italia, sia proprio quello dedicato agli scritti che hanno come oggetto la liturgia. Nella prefazione al volume, lo stesso Joseph Ratzinger sottolinea questo fatto, rilevando che la precedenza data agli scritti liturgici non è casuale, ma desiderata: sulla falsariga del Concilio Vaticano II, che promulgò come primo documento la Costituzione dedicata alla Sacra Liturgia, seguita dall’altra grande Costituzione dedicata alla Chiesa. E’ nella liturgia, infatti, che si manifesta il mistero della Chiesa. Si comprende, allora, il motivo per cui la liturgia è uno dei temi di fondo del pontificato di Benedetto XVI: è dalla liturgia che prende avvio il rinnovamento e la riforma della Chiesa.
Esiste certamente un rapporto vitale tra la liturgia, l’arte e l’architettura sacra. Anche perché l’arte e l’architettura sacra, proprio in quanto tali, devono risultare idonee alla liturgia e ai suoi grandi contenuti, che trovano espressione nella celebrazione. L’arte sacra, nelle sue molteplici manifestazioni, vive in relazione con l’infinita bellezza di Dio e deve orientare a Dio alla sua lode e alla sua gloria. Tra liturgia, arte e architettura non vi può essere, dunque, contraddizione o dialettica. Di conseguenza, se è necessario che vi sia una continuità teologico-storica nella liturgia, questa stessa continuità deve trovare espressione visibile e coerente anche nell’arte e nell’architettura sacra.
In effetti, tutti parliamo anche attraverso l’abito che indossiamo. L’abito è un linguaggio, così come lo è ogni forma espressiva sensibile. Anche la liturgia parla con l’abito che indossa, ovvero con tutte le sue forme espressive, che sono molteplici e ricchissime, antiche e sempre nuove. In questo senso, “l’abito liturgico”, per rimanere al termine da Lei usato, deve sempre essere vero, vale a dire in piena sintonia con la verità del mistero celebrato. Il segno esterno non può che essere in relazione coerente con il mistero della salvezza in atto nel rito. E, non va mai dimenticato, l’abito proprio della liturgia è un abito di santità: vi trova espressione, infatti, la santità di Dio. A quella santità siamo chiamati a rivolgerci, di quella santità siamo chiamati a rivestirci, realizzando così la pienezza della partecipazione.
Affermando subito che i cambiamenti a cui lei fa riferimento sono da leggere nel segno di uno sviluppo nella continuità con il passato anche più recente, ne ricordo uno in particolare: la collocazione della croce al centro dell’altare. Tale collocazione ha la capacità di tradurre, anche nel segno esterno, il corretto orientamento della celebrazione al momento della Liturgia Eucaristica, quando celebrante e assemblea non si guardano reciprocamente ma insieme guardano verso il Signore. D’altra parte il legame altare - croce permette di mettere meglio in risalto, insieme all’aspetto conviviale, la dimensione sacrificale della Messa, la cui rilevanza è sempre fondamentale, direi sorgiva, e, dunque, bisognosa di trovare sempre un’espressione ben visibile nel rito.
Come si sa la distribuzione della Santa Comunione sulla mano rimane tutt’ora, dal punto di vista giuridico, un indulto alla legge universale, concesso dalla Santa Sede a quelle Conferenze Episcopali che ne abbiano fatto richiesta. E ogni fedele, anche in presenza dell’eventuale indulto, ha diritto di scegliere il modo secondo cui accostarsi alla Comunione. Benedetto XVI, cominciando a distribuire la Comunione in bocca e in ginocchio, in occasione della solennità del “Corpus Domini” dello scorso anno, in piena consonanza con quanto previsto dalla normativa liturgica attuale, ha inteso forse sottolineare una preferenza per questa modalità. D’altra parte si può anche intuire il motivo di tale preferenza: si mette meglio in luce la verità della presenza reale nell’Eucaristia, si aiuta la devozione dei fedeli, si introduce con più facilità al senso del mistero.
Non so dire se sia uno dei più importanti, ma certamente è un atto importante. E lo è non solo perché si tratta di un passo molto significativo nella direzione di una riconciliazione all’interno della Chiesa, non solo perché esprime il desiderio che si arrivi a un reciproco arricchimento tra le due forme del rito romano, quello ordinario e quello straordinario, ma anche perché è l’indicazione precisa, sul piano normativo e liturgico, di quella continuità teologica che il Santo Padre aveva presentato come l’unica corretta ermeneutica per la lettura e la comprensione della vita della Chiesa e, in specie, del Concilio Vaticano II.
E’ un’importanza fondamentale. Il silenzio è necessario alla vita dell’uomo, perché l’uomo vive di parole e di silenzi. Così il silenzio è tanto più necessario alla vita del credente che vi ritrova un momento insostituibile della propria esperienza del mistero di Dio. Non si sottrae a questa necessità la vita della Chiesa e, nella Chiesa, la liturgia. Qui il silenzio dice ascolto e attenzione al Signore, alla sua presenza e alla Sua parola; e, insieme, dice l’atteggiamento di adorazione. L’adorazione, dimensione necessaria dell’atto liturgico, esprime l’incapacità umana di pronunciare parole, rimanendo “senza parole” davanti alla grandezza del mistero di Dio e alla bellezza del suo amore.
La celebrazione liturgica è fatta di parole, di canto, di musica, di gesti…E’ fatta anche di silenzio e di silenzi. Se questi venissero a mancare o non fossero sufficientemente sottolineati, la liturgia non sarebbe più compiutamente se stessa perché verrebbe a essere privata di una dimensione insostituibile della sua natura.
Come ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI, e con lui tutta la tradizione passata e recente della Chiesa, vi è un canto proprio della Liturgia e questo è il canto gregoriano che, come tale, costituisce un criterio permanente per la musica liturgica. Come anche, un criterio permanente, lo costituisce la grande polifonia dell’epoca del rinnovamento cattolico, che trova la più alta espressione in Palestrina.
Accanto a queste forme insostituibili del canto liturgico troviamo le molteplici manifestazioni del canto popolare, importantissime e necessarie: purché si attengano a quel criterio permanente per il quale il canto e la musica hanno diritto di cittadinanza nella liturgia nella misura in cui scaturiscono dalla preghiera e conducono alla preghiera, consentendo così un’autentica partecipazione al mistero celebrato.
"Un'attitudine anticattolica alberga nel clero di Linz"
Il Maestro Bartolucci a Palermo
Solo a ricordargli la serata rock di Bologna con Giovanni Paolo II e Bob Dylan, il maestro Domenico Bartolucci sobbalza e ribolle. «Fossi stato il cardinal Giacomo Biffi, mi sarei dimesso», taglia corto. Intanto però lui, Bartolucci, l'hanno dimesso per davvero, d'imperio, nonostante sia dal 1956 "magister ad perpetuum" della gloriosa Cappella Sistina e porti con vigore i suoi più che ottant''anni. Al suo posto, alla direzione della più romana delle cappelle di musica liturgica, le autorità vaticane hanno chiamato un forestiero dalla Sicilia, dal duomo di Monreale, monsignor Giuseppe Liberto.«È l'ultimo segno del mutamento di rotta voluto da Oltretevere in materia di musica liturgica», commenta Giovanni Carlo Ballola, affermato critico musicale ma anche diacono della Chiesa di Roma. Mutamento di gusti musicali? Non solo. Molto, molto di più.
Bartolucci sfoglia l'ultimo libro del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, autorità che nella Chiesa è seconda solo al papa. «Ecco qua. Lo riconosce persino lui. L'origine dei mali della Chiesa d'oggi è nella rottura che dopo il Concilio Vaticano II s'è fatta con la tradizione liturgica precedente. Rottura, scrive testualmente Ratzinger, "le cui conseguenze potevano essere solo tragiche". Sentito? Tragiche. La Chiesa non sa quale tesoro perde abbandonando il Gregoriano e la polifonia. "Resista, maestro, resista!", mi ha detto lo stesso Ratzinger incontrandomi alla messa di santa Cecilia, il 22 novembre 1996. Inutile. Pochi mesi dopo mi hanno buttato fuori».
Monsignor Liberto, il nuovo maestro della Sistina, la polemica la schiva. «L'ultimo libro di Ratzinger non l'ho letto». Nemmeno quelle poche pagine che hanno fatto rumore? «No. Nemmeno quelle». Neppure i suoi saggi su musica sacra e liturgia raccolti in "Cantate al Signore un canto nuovo", edito da Jaca Book? «No. Proprio non ne ho avuto il tempo».
Strano. Non c'è esperto di musica sacra che non se li sia divorati da capo a fondo. Oltre che superdottore di teologia, infatti, Ratzinger di musica sa parecchio. In proprio e per grazia di famiglia. Suo fratello, Georg, è stato per trent'anni, fino al 1994, maestro della Cappella del duomo di Ratisbona, la stessa dove aveva studiato Lorenzo Perosi, il predecessore di Bartolucci alla Sistina. In questi decenni, la Cappella Sistina e quella di Ratisbona sono state gli ultimi baluardi della musica liturgica all'antica, contro i novismi di marca postconciliare.
Naturalmente c'è anche una lettura opposta degli avvenimenti. Se per Ratzinger la «tragedia» è stata l'abbandono del messale antico, per uno dei suoi più espliciti oppositori, l'arcivescovo di Milwaukee Rembert Weakland, già primate dei benedettini confederati, la «devastazione» è venuta dalla decisione contraria: l'indulto dato da Giovanni Paolo II e dallo stesso Ratzinger ai nostalgici che si ostinano a celebrare con l'antico rito e in latino. Decisione a suo avviso devastante «perché ha dato l'impressione che si possa rovesciare tutto quanto il Concilio Vaticano II» [i lettori ricordano la fine che ha fatto Weakland, no? In caso l'avessero dimenticato, leggano qui]
Oggi il destino della musica liturgica si dibatte proprio tra queste contrapposte visioni catastrofiche. «E così, tra una musica antica quasi sparita e una buona musica nuova ancora di là da venire», osserva Carli Ballola, «si tira avanti col pasticcio di quell'Istruzione vaticana del 1967 che riconferma le scholae cantorum "purché il popolo non sia escluso dalla partecipazione al canto". Come questa mistura tra schola e popolo sia praticabile, rimane uno dei misteri di santa romana Chiesa». Risultato: per dar corso al pasticcio e far «partecipare» il popolo alle messe papali cantate, da trent'anni alla Cappella Sistina non rimane più che poco spazio nei momenti «morti» del rito, nei quali infilare brevi mottetti di polifonia o frammenti di Gregoriano. Delle magnifiche messe polifoniche (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) del suo autore sommo, il cinquecentesco Giovanni Pierluigi da Palestrina, neanche parlarne. Archiviate. Per eseguirle, la Cappella deve andare in tournée concertistica, all'estero, negli intervalli tra una messa papale e l'altra. Bartolucci era a dirigere in Giappone quando dal Vaticano gli arrivò la notizia che era stato destituito.Viceversa, il successore Liberto le sue benemerenze se le è guadagnate sul campo delle grandi liturgie di massa, rivelandosi abile trascinatore di cori di popolo. Papa Karol Wojtyla ha potuto saggiarne le doti tre volte, in Sicilia, in altrettanti suoi viaggi: a Mazara del Vallo, Siracusa e Palermo, in messe da stadio o celebrate su spianate aperte fronte mare. L'ha così apprezzato che l'ha chiamato a Roma nel novembre 1996 a dirigere i canti della messa in San Pietro per il suo 50.mo di sacerdozio. Altri cinque mesi e l'ha messo a capo della Cappella Sistina. Appena trapelò la notizia del cambio di direttore tra gli uomini di musica d'ogni credo ci fu una sollevazione. L'Accademia nazionale di Santa Cecilia, laica anche se nata dalla costola della Sistina e fondata dallo stesso Pierluigi da Palestrina, incaricò il suo presidente, l'ebreo Bruno Cagli, di comunicare per iscritto al segretario di Stato vaticano, cardinal Angelo Sodano, la «preoccupazione di tutti che possa andare disperso l'incommensurabile patrimonio religioso e artistico legato alla tradizione della polifonia romana». Anche il maestro Riccardo Muti elevò la sua protesta. Ma in Vaticano tirarono dritto. «Non vollero sentire il parere nemmeno del Pontificio istituto di musica sacra, il conservatorio della Chiesa romana», aggiunge Francesco Luisi, che al Pims insegna paleografia musicale rinascimentale ed è prefetto della biblioteca. Il Pims è un altro dei baluardi di resistenza della grande musica liturgica, anch'esso sotto tiro. Il suo penultimo preside, Giacomo Baroffio, studioso e maestro del Gregoriano di fama mondiale, oltre che intransigente nemico d'ogni compromesso modernista, fu cacciato in malo modo dalle autorità vaticane nel 1995. E anche l'attuale preside, Valentino Miserachs Grau, catalano, è poco amato dagli uomini dell'entourage papale. Continua a dirigere la Cappella Liberiana, quella della basilica di Santa Maria Maggiore, ultima sopravvissuta assieme alla Sistina delle molte scholae cantorum romane dei secoli d'oro. E fa di tutto per non deludere i suoi validi allievi del Pims, che lì arrivano da tutto il mondo proprio perché convinti che Roma sia sempre la patria eletta del Gregoriano e della grande polifonia sacra. Con risultati eccellenti. Per una verifica, si vada alla messa che docenti e allievi cantano ogni domenica alle 10 e mezza nella chiesa del Pims di via di Torre Rossa 21. Al termine, uno si chiederà come è possibile che una liturgia così musicalmente preziosa e così densa di risonanze cattoliche si celebri quasi clandestina, proprio nel cuore geografico della Chiesa cattolica apostolica romana. La risposta è che il paradigma musicale e liturgico vincente è cambiato, al centro della cristianità. La Sistina è per statuto la cappella del papa, il coro delle sue messe. E le messe di Giovanni Paolo II sono appuntamento fisso con le moltitudini. Sono messe da mondovisione. Via, quindi, le polifonie cinquecentesche e i responsori altomedioevali. Largo a inni e acclamazioni di massa, al passo con la modernità. «Con l'Anno Santo avremo sempre più messe papali, e noi dovremo esserci», annuncia il nuovo direttore della Sistina. Ai suoi 20 tenori e bassi e ai suoi 25 pueri cantores, il compito d'accompagnare la liturgia pontificia del Duemila.
Non sarà il primo esilio, per la gloriosa Cappella. Già una volta ha seguito i papi nella cattività d'Avignone.
mercoledì 25 febbraio 2009
Wow, ora spuntano anche i sedevacantisti progressisti
E' enorme, è vero, sproporzionato con la mia piccola persona! Ma bisogna bene che lo confessi, non posso nasconderlo agli amici: ho scomunicato Benedetto XVI. Mentre lui aveva appena tolto la scomunica dei vescovi integristi...!
[..]
A fine gennaio, quando Roma ha consolidato queste quattro mitre scismatiche senza tener gran conto del loro rifiuto del rinnovamento dell'ultimo concilio, del riconoscimento della libertà religiosa, dell'ecumenismo, dell'apertura al mondo, e così via, ho smesso di nominare il vescovo di Roma nella preghiera eucaristica
[..]
Revocherò un giorno la scomunica? Servirebbero dei segni di pentimento e di fedeltà negli atti agli orientamenti del Vaticano II. Sempre che non mi trattino da scismatico... Ma forse a quel momento ci si occuperà di me, mi si incoraggerà a celebrare messa nella lingua della mia vita, con la gente, senza voltargli le spalle; forse si avrà anche cura della loro libertà di coscienza, si condivideranno di più le loro attese, quali che siano la loro religione, le loro convinzioni e i colori delle loro anime. Voltandosi risolutamente verso l'avvenire! [il rev. Bassière ha 81 anni]
Mons. Ranjith: la crisi liturgica va riconosciuta e le sue cause indagate, per rimediare.
Alcune pratiche che la Sacrosanctum Concilium non aveva mai nemmeno contemplato furono consentite nella liturgia, come la Messa versus populum, la S. Comunione in mano, l’abbandono del latino e del canto gregoriano in favore della lingua volgare e canzoni ed inni senza molto spazio per Dio, e un’estensione oltre ogni ragionevole limite della facoltà di concelebrare la S. Messa. Ci fu anche il grossolano fraintendimento del principio della "partecipazione attiva".
Concetti e temi basilari come Sacrificio e Redenzione, Missione, Proclamazione e Conversione, Adorazione come integrale elemento di Comunione, e la necessità della Chiesa per la salvezza eterna – tutto fu accantonato, mentre Dialogo, Inculturazione, Ecumenismo, Eucarestia-come-banchetto, Evangelizzazione-come-testimonianza, divenne più importante. I valori assoluti furono disdegnati.
Un senso esagerato di arcaismo, antropologismo, confusione di ruoli tra ordinati e non ordinati, uno spazio senza limiti accordato alla sperimentazione – e, invero, la tendenza a guardare dall’alto in basso alcuni aspetti dello sviluppo della Liturgia nel secondo millennio – furono sempre più visibili tra certe scuole liturgiche.
Mons. Williamson lascia l'Argentina per Londra
martedì 24 febbraio 2009
Dietro lo scisma ricucito
Fonte: La Stampa, 24 febbraio 2009 (link), via Papa Ratzinger blog
In Inghilterra la stampa vicina all’episcopato diffama un sacerdote che applica il motu proprio
In Inghilterra e Galles, come i lettori di questo sito ormai sanno bene (se volete ripassare, leggete ad esempio qui, qui e qui), esiste uno degli episcopati più refrattari alla riforma liturgica (e non solo) di Papa Benedetto, a partire dall’uscente arcivescovo di Westminster, card. Murphy o’ Connor, che per inciso non è nemmeno tra i peggiori.
Nei sobborghi di Londra, diocesi di Southwark, un parroco più intraprendente e coraggioso degli altri ha pensato opportuno di applicare, semplicemente, il motu proprio del Papa. La domenica, pertanto, celebra quattro Messe (numero normale in molte parrocchie), delle quali tre in inglese, ovviamente col messale di Paolo VI, ed una solenne in rito antico.
Manco a farlo apposta, la Messa straordinaria piace e riscuote un franco successo. Non solo, ma il Parroco, il cui nome è Tim Finigan (foto in alto), gestisce un blog seguitissimo (ha da poco totalizzato un milione di visite) il cui titolo 'papista' è già programmatico: The Hermeneutic of Continuity.
Sconcerto e spavento nei ranghi progressisti che, ormai l’abbiamo imparato, sono costituiti da (pochi) fedeli dai 60 in su e da (tanti) chierici invecchiati, fermi col cervello agli anni Settanta. Hanno quindi pensato di sferrare un attacco, delegando il lavoro ‘sporco’ (e vedremo che lo è davvero) al periodico The Tablet, che fu glorioso, ed è oggi invece la stanca cassa di risonanza dei soliti propugnatori del sacerdozio femminile, del relativismo dogmatico (Maria una vergine? Favolette…), della creatività liturgica.
E così nell’ultimo numero del Tablet è apparso un odioso articolo contro l’ottimo Padre Finigan dal titolo significativo “Quella non era la mia messa” (leggilo per intero qui): l’articolista narra di aver raccolto la voce di protesta di 9 (nove!) parrocchiani, per lo più ex ministri straordinari dell’Eucarestia e lettori ora “congedati” (ecco perché hanno il dente avvelenato...), che non si ritrovano con quella messa in latino e sono costretti (oh sacrificio!) a cambiare orario per ritrovare la loro amata messa ordinaria. “In quella che una volta era una Parrocchia piacevolmente tipica”, elegizza The Tablet “non ci sono più ministri straordinari dell’Eucarestia, sono state installate balaustre e il parroco lascia intendere che preferisce la comunione in ginocchio e sulla lingua. La comunione non viene usualmente offerta nelle due specie”. Il tono è di chi voglia descrivere un campo di rovine.
Ma fin qui siamo ancora nel campo di un lecito dissenso, la cui motivazione è anche candidamente confessata nell’articolo: “I critici temono che la loro parrocchia diventi una bandiera per il rito tridentino” (eccola, la vera paura dei progressisti: del Tablet e della parte di clero che lo sostiene). Poi però si sferra un ingiustificabile colpo basso, laddove l'articolista insinua, con la più bella tecnica della calunnia (“la calunnia è un venticello…”), irregolarità finanziarie del Parroco attaccato, che sperpererebbe i soldi per gli arredi della Chiesa, naturalmente superflui agli occhi dei criptoprotestanti. Ecco che cosa scrive: “Ci sono state lamentele [..] per le spese per arredi tridentini e altri orpelli clericali, l’assenza di un consiglio parrocchiale e la mancanza di rendiconto ai fedeli di come viene speso il denaro della questua”.
Questo attacco è talmente vile, ingiustificato e privo di uno straccio di prova, che è ricaduto pesantemente sugli attaccanti: Damian Thompson pubblica la lettera al direttore del Tablet di un collaboratore di quella stessa rivista, l’affermato compositore cattolico James MacMillan, il quale si lamenta di quell’articolo definendolo “una vergogna” che ha “sfortunatamente toccato nuovi fondi che pensavo non avrei mai visto in una pubblicazione cristiana”. “Tutto il tono è irrispettoso, foriero di danno e opportunistico, privo di senso palpabile di carità cristiana”. Il punto in cui si insinuano irregolarità finanziarie, prosegue il compositore, è anche querelabile. E conclude “possano i parrocchiani di N.S. del Rosario trovare nel loro cuore la forza di perdonarvi e pregare per voi”.
Nemmeno il rispetto per i morti...
lunedì 23 febbraio 2009
E' ufficiale: Dolan Arcivescovo di New York
Il Santo Padre Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di New York (U.S.A.), presentata dall’Em.mo Card. Edward M. EGAN, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Papa ha nominato Arcivescovo metropolita di New York (U.S.A.) S.E. Mons. Timothy M. DOLAN, finora Arcivescovo di Milwaukee.S.E. Mons. Timothy Michael Dolan è nato il 6 febbraio 1950 in Saint Louis (Missouri). Dal 1964 al 1968 è stato alunno del "St. Louis Preparatory Seminary South", prima di entrare nel "Cardinal Glennon College" ove ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia. Inviato a Roma nel 1972 al Pontificio Collegio Americano del Nord, ha frequentato l'Angelicum dove ha ottenuto il "Masters" in teologia. E' stato ordinato sacerdote il 19 giugno 1976 per l'arcidiocesi di Saint Louis. Dopo l'ordinazione sacerdotale, è stato vice-parroco nella "Immacolata Parish" a Richmond Heights e conferenziere e confessore delle Suore Carmelitane (1976-1979); ha continuato gli studi e ha conseguito la Laurea in Storia Ecclesiastica presso l'Università Cattolica di Washington (1979-1983). È stato successivamente vice-parroco della "Curé of Ars Parish" in Shrewsbury (1983-1985) e poi nella "Little Flower Parish" a Richmond Heights (1985-1987); Collaboratore presso la Nunziatura Apostolica in Washington, D.C. (1987-1992); Vice-Rettore al Seminario Maggiore "Kenrick-Glennon" nell'arcidiocesi di Saint Louis; Rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma (1994-2001). È stato nominato Vescovo titolare di Natchez ed Ausiliare di Saint Louis il 19 giugno 2001; ha ricevuto la consacrazione episcopale il 15 agosto successivo. Il 25 giugno 2002 è stato nominato Arcivescovo di Milwaukee (Wisconsin). In seno della Conferenza Episcopale è Presidente del "Board of Directors" dei "Catholic Relief Services". Inoltre, è Membro del "Committee on Budget and Finance" e del "Subcommittee on the Church in Africa" e Consultore del "Committee on International Justice and Peace".
Gli ortodossi plaudono ad una riconciliazione con i lefebvriani
Dichiarazione dello Ieromonaco della Chiesa ortodossa russa Alexandre Siniakov (nella foto), responsabile delle relazioni esterne e dei rapporti con le chiese della diocesi di Chersoneso (che comprende Francia, Spagna, Portogallo e Svizzera ) e membro della rappresentanza della Chiesa russa presso l’Unione Europea. Questa dichiarazioni è da leggere in parallelo a quelle dell’allora metropolita (e ora Patriarca) Cirillo sul valore della Tradizione, anche liturgica, e sull’apprezzamento per il Papa Benedetto che riporta la sua Chiesa alla Tradizione (v. i nostri post qui e qui). Chissà che cosa diranno coloro che accusano il Papa di essere antiecumenico: mai, negli ultimi 40 anni, si erano avuti risultati così brillanti (e in poco tempo) di vero ecumenismo: con gli ortodossi, con gli anglicani tradizionalisti, con i lefebvriani.
Non possiamo che rallegrarci che ci siano stati dei passi avanti verso la comunione eucaristica tra i vescovi della Fraternità S. Pio X e il papa Benedetto XVI [..] Sono rimasto stupefatto di constatare l’assenza di solidarietà di certi cattolici in rapporto alla decisione del papa. Non ha fatto altro che esercitare il suo ministero di unità; è un po’ triste di vedere che questo divide la Chiesa cattolica. Credo di poter dire che, dal loro lato, i media ortodossi russo hanno percepito piuttosto positivamente la revoca delle scomuniche. Ci sembra che il papa non voglia allontanarsi dalla tradizione anteriore al Vaticano II e desideri lasciar che i fedeli vivano ciò serenamente, senza costrizioni. Secondo noi, non si possono imporre ai fedeli delle riforme, fossero anche conciliari, senza il pieno consenso e la totale ricezione del popolo di Dio. Sarebbe far violenza al Corpo di Cristo! La Chiesa russa ha conosciuto uno scisma per ragioni liturgiche, dopo il concilio del 1666-1667. E’ lo scisma dei vecchi credenti. Eppure le riforme erano molto meno rilevanti di quelle che hanno marcato il concilio Vaticano II. Ma delle scomuniche furono lanciate all’epoca e lo scisma dura sempre. Nel 1970, il patriarcato di Mosca, ad iniziativa del metropolita Nicodemo (Rotov) ha tolto quelle scomuniche e anatemi. Ma, in un certo modo, era troppo tardi. Credo modestamente che il papa abbia avuto ragione: togliere le scomuniche rapidamente è una cosa necessaria per non lasciare che uno scisma perduri