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lunedì 5 gennaio 2009

Ermeneutica della discontinuità in azione: si parla ancora di “primavera conciliare”?


Sabato 18 ottobre 2008 si è svolto un convegno su Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II. L’Osservatore Romano ha pubblichiamo ampi stralci di uno degli interventi più autorevoli, quello di Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di vaglia. Ne riportiamo la maggior parte, con i nostri commenti interpolati in rosso, perché ci sembrano emblematici di quella corrente di interpretazione del Concilio, ancora maggioritaria, che Benedetto XVI ha criticato come "ermeneutica della discontinuità o della rottura" e che vede nell’assise conciliare un nuovo inizio rispetto ad un passato giudicato negativamente e che, soprattutto, si rifà più ad un preteso "Spirito del Concilio" che agli effettivi documenti conciliari.


[..] Il Vaticano II si presenta come concilio della storia anzitutto in quanto ha promosso una rinnovata coscienza del primato della Parola di Dio sulla Chiesa e della decisiva importanza della sua trasmissione viva e vivificante per l'esistenza credente: la Scrittura ispirata vi è colta come forza agente nel vivo delle mediazioni della storia [con rispetto per l’Arcivescovo, ci si lasci ironizzare che ci voleva proprio un Concilio per capire che la Scrittura è "forza agente nel vivo delle mediazioni della storia": prima si sapeva solo, molto più semplicemente e comprensibilmente, che la Parola di Dio agisce nella storia umana], da accostare con tutto il rispetto per la sua sovranità, ma anche con tutta la verità delle nostre domande perché sia attualizzata nell'oggi [ma è la Scrittura che deve essere "attualizzata nell’oggi", o non è piuttosto il cristiano di ogni età, ieri oggi e domani, a doversi confrontare con una Scrittura che parla per tutti i tempi? E in che senso le nostre domande sono necessariamente vere? E’ questa una forma di esistenzialismo cattolico?]. Al processo di recezione della Parola di Dio nella vita e nella storia il concilio ha dato un nuovo, straordinario impulso, che ha fatto forse della Chiesa cattolica - fra tutte le confessioni cristiane - quella in cui oggi la Bibbia è più letta e proclamata: si pensi all'enorme sforzo di traduzione e diffusione del testo delle Sacre Scritture nella Chiesa postconciliare e al grande cantiere dell'esegesi e della teologia biblica al servizio del popolo di Dio. Quella che va nascendo in conseguenza di questo processo è una comunità di cristiani adulti, formata all'ascolto della Parola della rivelazione, una comunità ricca di un sempre nuovo slancio di evangelizzazione [ahinoi, questi cristiani sono talmente "adulti", talmente "formati dalla Parola", talmente aiutati da questa "Chiesa postconciliare" (espressioni di Sua Eccellenza) che (sondaggio de La Croix, l’Avvenire francese) il 67% dei praticanti non crede più alla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia (curiosamente, la percentuale degli increduli è leggermente più bassa tra i non praticanti: magari perché, disertando le chiese, sono meno adulti e meno formati all’ascolto della Parola). L’espressione cristiani adulti, in generale, ci sembra poi ingiusta verso le generazioni "puerili" che ci hanno preceduto].

Alla base di quanto il magistero del concilio ha maturato in questo campo, è possibile cogliere il vissuto del Papa che lo indisse: riferirsi alla rivelazione, contenuta nella Bibbia, continuamente meditata, e alla storia della sua ricezione nella fede della Chiesa, non è mai stato per Roncalli un atto di nostalgia o di rifugio nel passato [la parola passato non ha un’accezione positiva nella prosa alata dell’Arcivescovo], ma sempre e intensamente una sorgente di luce e di speranza. [..]
Certo non sono mancati, né potevano mancare, negli anni del post-concilio, passaggi critici come quello che riguarda la dialettica tra gli sviluppi dell'esegesi biblica in senso storico-critico e l'uso ecclesiale della Bibbia, tra la diffusione della Parola di Dio fra il popolo fedele e le ricorrenti resistenze nei confronti dell'esegesi scientifica dei testi sacri. La recezione del concilio è stata ed è in tal senso un cantiere ancora aperto: la sfida a riscoprire e a vivere il mistero della Chiesa come "creatura Verbi", continuamente generata dalla Parola di Dio e chiamata a farsene voce per la salvezza del mondo, è ancora in gran parte aperta [sull’idea che l’applicazione del Concilio sia un cantiere ancora aperto possiamo convenire con l’Arcivescovo. Ma a noi umilmente pare, e su questo certamente egli ha altre idee, che l’applicazione del Concilio abbia preso ben presto una strada senza uscite, che ha portato a distruggere iconoclasticamente il passato senza costruire un futuro. Occorre quindi, per prima cosa, una retromarcia: tornare non al preconcilio, bensì al Concilio vero e proprio, cioè a quegli elementi della Tradizione che i Padri conciliari dichiararono, invano, che dovessero essere conservati e amorosamente custoditi (un esempio tra tutti? La messa in latino). Di lì potrà poi partire una nuova, questa volta benefica applicazione del Concilio vero (non di quello ricostruito a posteriori senza appigli nei testi conciliari), ricucendo la continuità ferita tra la Chiesa di prima e di dopo il Concilio: unica opzione interpretativa sul Concilio che, come insegna il Papa (allocuzione alla Curia Romana del 22.12.2005), ha portato e porterà frutto].

Tuttavia, l'intuizione del Vaticano II, quale è scaturita dalla mente e dal cuore del Papa buono, resta un punto di non ritorno [!], dal quale partire con sempre rinnovato slancio per il servizio del Vangelo e il bene della Chiesa e dell'intera famiglia umana, a cui nulla di più alto i credenti possono dare che le sorgenti d'acqua viva della Sacra Scrittura e della sua trasmissione testimoniante nella fede del popolo di Dio [Belle parole. Peccato che, dopo la perdita imposta nel post-concilio di tante devozioni popolari, quel popolo di Dio confuso e decimato abbia quasi vergogna di testimoniare la fede]

Il Vaticano II si offre come il concilio della storia anche per la vigorosa attenzione al presente [il presente degli anni Sessanta, che per molti aspetti appare datato rispetto al nostro presente, quello del XXI secolo], a quel "frattempo" che sta fra il "già" della prima venuta di Cristo e il "non ancora" del suo ritorno: la coscienza dell'oggi [che cos’è la coscienza dell’oggi?] ispira l'istanza pastorale che è a fondamento di tutto ciò che il concilio ha detto. Lo dimostra la stessa genesi vivacissima e a volte sofferta dei testi conciliari, in una tensione spesso evidente fra mentalità legate al passato e alla sua conservazione e sensibilità aperte all'oggi di Dio nel tempo e al futuro della Sua promessa [notare il fraseggio: la conservazione del passato è una "mentalità", cioè una specie di fisima, che si contrappone alla duttile "sensibilità", quella "aperta all’oggi di Dio" (qualunque cosa ciò significhi, se qualcosa significa davvero) e rischia perfino di intralciare il futuro della promessa divina: gravi colpe, i conservatori!].
[..]
Misurare tutto su Dio e la Sua volontà, in un orizzonte di fede e di speranza, fa nascere in Angelo Giuseppe Roncalli una valutazione anche delle urgenze ecclesiali quanto mai libera e aperta, a cominciare dall'atteggiamento convinto in favore della ricerca dell'unità fra i cristiani divisi. [..]. L'insistenza che ne deriva è a considerare "non ciò che divide gli animi, ma ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima" (Ad Petri Cathedram, 465). Nella luce di questo sguardo fiducioso - ben radicato nella fedeltà al dono di Dio - si delineano i tratti del rinnovamento necessario alla Chiesa, che dall'intuizione del Papa passa nei testi del concilio: "Altra è la sostanza dell'antica dottrina del deposito della fede e altra è la formulazione del suo rivestimento. Al giorno d'oggi, la Sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con la condanna" (Discorso di apertura del concilio, 569). Da questa visione sono scaturite nel post-concilio esperienze e riflessioni critiche della fede, nonché opzioni teologiche e pastorali, nate nelle diverse situazioni culturali, che hanno inteso porsi come sviluppo - più o meno coerente - dell'eredità del Vaticano II. Certamente, questo processo non è stato privo di difficoltà: al tempo del "rinnovamento", legato alla primavera conciliare [Perbacco: Sua Eccellenza riesce a utilizzare ancora quest’espressione che, al pari di quella di "nuova Pentecoste", è divenuta quasi caricaturale del fanatismo pseudoconciliare, dato l’innegabile inverno gelido che è sotto gli occhi di tutti e che già Paolo VI denunziava nel famoso discorso sul "fumo di Satana" e sulla primavera conciliare mutatasi in inverno], ha fatto seguito una condizione di "spiazzamento", frutto della nuova consapevolezza del pluralismo delle culture, delle urgenze storico-politiche, dei bisogni e delle espressioni spirituali e religiose. Lo "spiazzamento" si è delineato in particolare nel profilarsi di nuovi luoghi geografici di elaborazione teologica (America Latina, Africa, Asia) accanto al monopolio europeo tradizionale, di nuovi protagonismi (in primo luogo quello dei laici e delle donne), di nuovi metodi, in rapporto specialmente all'emergere della rilevanza della prassi per il pensiero della fede [Ci sembra che un discorso sulla ricezione del Concilio sia manchevole se non dà atto con onestà del crollo di tutti gli indicatori della fede (vocazioni, pratica religiosa, accesso ai sacramenti) seguito alla "primavera conciliare". Invece leggiamo appena un accenno a qualche "difficoltà" e ad uno "spiazzamento" (contate i conventi chiusi negli ultimi decenni nella vostra diocesi, considerate l’apostasia silenziosa di continenti interi, denunziata da Giovanni Paolo II, e diteci se quest’espressione non è un understatement). E non solo: nelle parole dell’Arcivescovo, ciò sembra poco più di un momento di assestamento, destinato a essere superato appena sarà stato accettato il nuovo ruolo dei laici e delle donne o l’emergere di nuove scuole teologiche in Africa, di cui onestamente nulla sappiamo, in Sudamerica, ove l’unica voce teologica è quella della liberazione; in Asia, culla della sincretistica "teologia delle religioni"]. Su tutto resta però come motivo ispirante l'intuizione di Giovanni XXIII sul primato della misericordia e del dialogo della carità per la risoluzione delle tensioni e dei conflitti possibili [intuizione giovannea molto bella, anche se non crediamo sia così originale rispetto al pensiero dei suoi ultimi predecessori. Ora però, dopo tanti anni, vorremmo che al popolo di Dio fosse applicato anche quell’atto di misericordia spirituale che consiste nel confermare la fede degl’increduli: vorremmo, cioè, parole più chiare, più precise, più vincolanti, per far uscire la fede dalle ambiguità e dalle sabbie mobili del relativismo cui l’hanno condotta i "cattolici adulti" che sembra apprezzare Mons. Forte. Per fortuna il Papa sa quanto ci sia bisogno di cooperatores Veritatis]

Fonte: Papa Ratzinger blog

5 commenti:

  1. Cattolici adulti? Ma qualcuno non aveva detto che chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso? Bruno... sei Forte... sei rock

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  2. ahahahaha............................................................mignotte in arrivo

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  3. Si è vero. Tua mamma ne ha avuti tanti.

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  4. Indubbiamente mons. Bruno forte è dotato di notevole dialettica (parla meglio di D'Alema, e non è cosa da poco...)ed è uno dei più grandi teologi del mondo (come lo furono i teologi del dissenso...), ma dal punto di vista dottrinale ha preso una piega molto preoccupante. Non vorrei che ci trovassimo di fronte ad un nuovo falso profeta, che si presenta in veste di pecora, ma dentro è un lupo rapace! Stiamo in guardia dai falsi profeti, e preghiamo per loro!

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